mercoledì 28 agosto 2013

Intervista narrativa a Pepita Vera Conforti






La prima intervista effettuata si è svolta con la formatrice Pepita Vera-Conforti il 12 maggio 2006 alle 11.30. Essendoci date appuntamento all’interno del Lifi Pepita ci ha proposto una saletta riunioni accanto alla sua postazione di lavoro usuale che però resta uno spazio di lavoro condiviso e quindi non molto intimo e silenzioso. La saletta riunioni era invece un setting appropriato e di gradimento dell’intervistata stessa che ce lo ha subito proposto come spazio a lei più congeniale. Anche la semplice disposizione intorno ad un tavolo rettangolare non è stata però delle più semplici. Avendo inoltre deciso che sarebbe stata solo una di noi a porre le domande, le altre due hanno fatto da uditori e supervisori del lavoro della collega, sentendosi libere di porre delle domande alla conclusione dell’intervista ed abbiamo optato perché fosse la intervistatrice che faceva le domande a stare di fronte all’intervistata, cercando di non creare né un effetto di accerchiamento né di eccessiva distanza con la narratrice, cercando anche di occupare spazialmente l’angolo di comunicazione privilegiato cercando di applicare al meglio i fondamenti di psicologia spaziale. L’intervistata da canto suo si è dimostrata subito disponibile e collaborativa e non ha mostrato eccessiva emozione né alcun disagio alla vista di ben due registratori mp3 pronti ad immagazzinare le sue memorie. Abbiamo potuto così cominciare a registrare fin dalla spiegazione in breve dello scopo dell’intervista e della sua modalità di svolgimento e dopo aver risposto ad una richiesta di delucidazione su di un aspetto procedurale da parte della protagonista, che si è dimostrata fin dal principio molto attenta ed interessata, ha avuto luogo l’intervista narrativa vera e propria che è durata circa un’oretta. Qui di seguito sono riportati alcuni spezzoni rilevanti rispetto all’esperienza della modalità dell’intervista narrativa ed all’emergere di aspetti significativi per la protagonista attraverso le storie raccontate dalla medesima:


L’EVOLUZIONE PERSONALE ENTRO UN ORIZZONTE CONOSCIUTO “Allora ho messo più elementi perché non è mai un elemento solo che ti spinge a fare una cosa e diciamo che in un certo periodo della mia vita si sono messi in moto tutta una serie di motivi: uno, dicevo, da qualche parte il ragazzo cresceva e quindi c’era la necessita, la spinta di dire “mi rimetto in gioco dal punto di vista professionale”, dall’altra comunque una direzione (presa)5, comunque ho frequentato scienze della educazione per cui andavo nella direzione della formazione, per cui da qualche parte che è sempre stato il punto di contatto con quello che ho fatto a livello professionale. Dall’altra le nuove tecnologie, sicuramente mio marito mi ha introdotto in questo mondo perché è sempre stato un autodidatta, voglio dire, ha fatto anche lui la magistrale ma quello che ha a che vedere con la programmazione, con la la... internet le nuove tecnologie, è sempre stato un bravo autodidatta e ha imparato da solo, quindi mi ha un po’ introdotto (...) e da un lato comunque da sempre, cioè da quando ho 14 anni, quando cominci a farti delle domande, la questione di genere ha sempre giocato in modi diversi. Da una parte il momento rivendicativo di opposizione il momento di di denuncia, ecco passando da questi aspetti che son la storia di questi ultimi 30 anni, questi momenti storici e culturali, da qualche parte sono arrivata alla conclusione che bisognava trovare altre strade, altri modi, insomma...che non entrassero in un conflitto ma insomma che permettesse alle paro(le)...alle persone di esprimere quello che poi sono, riconoscendosi però come generi femminili ecco per cui da qualche parte combinare questi diversi modi che poi adesso abbiamo (nel progetto/i) è per me un sogno ecco un sogno realizzato veramente.”

Possiamo notare come per Pepita il cambiamento sia giunto per un bisogno personale di crescita ad un certo punto della sua vita, senza però stravolgerne le basi significative anzi facendo tesoro delle esperienze pregresse. Qui è rilevante il suo tentativo di definire le scelte che l’hanno spinta ad evolvere delineando come elementi chiave i molteplici aspetti di influenza (interessi personali, riflessioni sulla questione di genere e sul femminismo sin dalla fanciullezza, le scelte professionali, il contesto sociale, culturale e storico di riferimento) e le sue relazioni significative più intime (marito, figlio che cresce). Si nota subito in che modo e perché l’approccio di ricerca qualitativa si traduce in strumento di apprendimento e sviluppo della persona (Schoen, 1993): fin dal principio grazie alla modalità narrativa Pepita riorganizza il suo vissuto e cerca di darvi un senso per far emergere attraverso la molteplicità degli avvenimenti l’unità del suo Io e per chiarirne l’evoluzione. La formatrice riflettere mentre racconta e così comprende che è proprio
grazie alle esperienze vissute, ai percorsi intrapresi, alle riflessioni passate ed al contesto in cui è immersa, che oggi è una persona con una certa sensibilità ed apertura al cambiamento, vivendo in prima persona una spinta verso l’esplorazione della zona prossimale di sviluppo (Vygotzkij, 1980). Un altro aspetto rilevante è il suo sentirsi realizzata nel lavoro, avendo potuto applicare le sue energie e sforzi lavorativi (i progetti Arianna e Wisegirls) ad un campo di riflessioni che sono una costante per lei fin dalla prima giovinezza (ad esempio la questione delle pari opportunità), dandovi una forma concreta di sviluppo. Ciò che emerge con una certa ricorrenza nel corso della narrazione è anche un altro importante aspetto, legato alla domanda di cosa sia davvero importante per l’intervistata nel suo lavoro:


DIMENSIONE RELAZIONALE “Allora diciamo, io ho elencato famiglia, marito quindi c’è un elemento che non ho ancora citato... che ad un certo punto questo è stato possibile perché per alcuni motivi molto, ogni tanto dico magici, alchemici, non si sa bene perché, ci siamo trovate con Giuliana, Paola io e c’erano anche altre persone che però per motivi diversi avevan lasciato. È chiaro che questa combinazione, queste esperienze molto diverse anche magari nelle aspettative... però ci siamo trovate e a quel punto il fatto di poter condividere queste idee questo modo di agire di procedere è stato certamente una delle spinte più importanti per cui se voglio dire quel che conta per me adesso del lavoro è poter... poter lavorare con loro ecco, forse questa è ancora una caratteristica femminile no? Il fatto di di mettere comunque al primo posto le relazioni, di lavorare con persone con cui stai bene, con le quali puoi aver conflitti, -non sempre siamo d’accordo ma sappiamo che abbiamo sufficiente fiducia l’una dell’altra da poter trovare assieme delle soluzioni e delle vie di di... da percorrere assieme

Pepita anche durante la revisione della trascrizione insiste molto su questo punto: l’importanza della relazione e del senso di appartenenza per un buon funzionamento di una equipe, del suo team. Il senso di condivisione di progetti, idee emozioni pur avendo background diversi e differenti aspettative le fa comprendere che ciò a cui lei si sente intimamente di dare più importanza non è tanto il contenuto del lavoro, gli oggetti e gli obbiettivi a cui i progetti si applicano ma è la stessa relazione con le sue colleghe ed amiche a dare qualità a ciò che si produce, indifferentemente dal contesto applicativo o dal prodotto finale. Dando questo tipo di definizione all’importanza che ha per lei il lavoro si nota come il valore che lei gli attribuisce è intriso anche di una considerazione legata a riflessioni precedenti forse ancora più radicate, per cui per lei la relazione ha importanza in quanto “donna”, riconoscendo quindi questo attributo (la preponderanza della relazione sugli stessi contenuti) come appartenente più alla sfera del genere femminile, che a quella maschile. Pepita quindi attraverso la narrazione torna a riflettere sugli aspetti per lei significativi, sui quali si interroga da sempre, cercando nuove attribuzioni di senso e risposte in un percorso aperto e dialogico con noi ma soprattutto con se stessa. “Gli schemi di attribuzione di significato sono il risultato di un processo di acculturazione (Callari-Galli, 1992); processo che consente ai soggetti di sentirsi parte di una determinata cultura. Essi sono, al tempo stesso, la risultante del percorso storico-biografico (Schuerch, 2006, p. 27). Col manifestarsi di un vero e proprio processo riflessivo (Schoen, 1993; Deitering, 1995) in atto la stessa narratrice tocca in più punti del suo narrato l’importanza che lei attribuisce all’interno del suo lavoro alla dimensione della co-costruzione ad esempio nella realizzazione del Percorso Arianna:


CO-COSTRUZIONE “Dove Guliana ha portato l’idea di promuovere una formazione un percorso, più che altro una formazione formativa utilizzando la piattaforma e da lì tutto ha cominciato a crearsi, quindi la microimprenditorialità, come agire per arrivare lì, quali competenze. Per cui c’è stato un gran costruire per costruire...eh, davvero metter sul tappeto tutte le nostre idee riguardo a, per esempio, la microimprenditorialità, a cosa vuol dire competenze, a cosa vuol dire un linguaggio femminile, cosa...ecco ed è stato interessante proprio questo processo di quasi quasi spezzettare tutto per poi ricostruirlo e vedere che le cose crescevano (...). In questo senso anche la difficoltà è un’occasione - prima hai citato la parola della co-costruzione - ma è proprio co-costruire. Perché è vero, che spesso noi ci accorgiamo che quando progettiamo, che alcune idee che escono sono il frutto non tanto il frutto di Paola Giuliana o mia ma sono il frutto della collaborazione di tutte e tre: cioè un’idea fa scattare un’idea a un’altra che fa scattare un’idea a un’altra che fa scattare ...fin quando a un certo punto tutte e tre condividiamo che quello che è uscito è la proposta giusta eeeee tutte e tre alla fine ci guardiamo con quella soddisfazione del sapere: ‘Ecco quest’idea fossi stata lì non mi sarebbe venuta oppure mi sarebbe venuta ma non con quelle sfumature quell’entusiasmo!’ ”

Fin dalle prime righe dello spezzone selezionato emerge il concetto di “appropriazione partecipata” che si riferisce alla modalità in cui “l’individuo modifica il suo comportamento attraverso il suo coinvolgimento in una attività e attraverso il quale si prepara spesso allo svolgimento di attività diverse ma in relazione con la prima.(...) Invece di considerare l’appropriazione come un processo di internalizzazione nel quale qualcosa di statico è portato dall’esterno all’interno, si considera la partecipazione attiva come la pratica essenziale attraverso la quale si raggiunge la competenza nello svolgimento di una attività” (Zucchermaglio, 1996, p.71) Pepita riconosce nel gruppo una forte coesione, equilibrio, entusiasmo ed unità di intenti che portano le tre formatrici pur essendo molto diverse tra loro ad una co-costruzione di saperi ed esperienze delle quali ciascuna riconosce il merito in parti uguali, senza prevaricazioni. Nonostante la consapevolezza della forza che emerge da un gruppo solido e coeso Pepita ha anche voluto sottolineare che la sua sfera di affermazione personale non si limita entro il riconoscimento del team, delle colleghe e delle donne partecipanti ai progetti ma che è ben presente nella sua personalità l’aspetto individuale, che si consolida attraverso una serie di esperienze, non solo nel campo lavorativo ma anche in quello politico o sociale in senso lato. Tutti gli apprendimenti derivati dalle diverse esperienze sono dunque trasferibili da un contesto di applicazione ad un altro con una certa flessibilità.

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